Il genitore capoccione

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Letizia Ciancio
Il genitore capoccione




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Cosa accade quando i ruoli non vengono più rispettati? Quando le relazioni di fiducia sono fragili come castelli di carta, eretti sul consenso e la collusione e non edificati sulle solide fondamenta di conflitti gestiti e risolti attraverso il dialogo e l'ascolto?
Accade che un genitore, anziché punire il figlio indisciplinato, aggredisca violentemente il professore che ha "osato" rimproverarlo. Non è immaginazione, purtroppo, ma quanto accaduto a Cagliari in un giorno di scuola come tanti. Il professore è finito in ospedale, con la fronte ferita ma sopratutto con il cuore affranto e incredulo.
Come siamo arrivati a questo punto? Da dove possiamo ripartire per porre rimedio a questa deriva?

È accaduto in quel di Cagliari, che un ragazzo adolescente disturbasse durante la lezione in classe e, giustamente ripreso dal professore, gli abbia risposto in modo irriverente. Fin qui tutto normale o quasi, considerata l’età del “fanciullo”. Ciò che non è normale ma preoccupante è il seguito: il padre del ragazzo, evidentemente offeso sul piano personale dalla reprimenda del Prof., si reca a scuola e colpisce in fronte il docente con una testata che lo spedisce diritto in ospedale. Poteva andare peggio, visti i precedenti di cronaca già accaduti, ma qui si tratta non solo di dolore fisico, bensì di dolore dell’Anima.

Gli educatori, a qualsiasi livello, dovrebbero essere considerati i preziosi custodi del futuro, perché è a loro che affidiamo la crescita mentale e culturale dei nostri figli. Come tali andrebbero protetti dalle istituzioni e valorizzati con adeguate risorse. L’impressione viceversa è che siano abbandonati a loro stessi, in classi sovraffollate che sono diventate giungle ingestibili di ragazzi sistematicamente distratti e non sempre motivati. Le ragioni che hanno condotto questa situazione di degrado sono molteplici e stratificate nel tempo, a causa di scelte politiche sbagliate e successive correzioni che spesso, più che ordine, hanno aggiunto ulteriore confusione. Non si possono “fare le nozze con i fichi secchi” recita una massima popolare: se vogliamo che la scuola crei Valore, dobbiamo dedicargli Valore, cioè soldi, investimenti. Non ci sono alternative. Ma qui mi fermo, essendo un’analisi sulla quale non ho dati sufficienti da permettere una diagnosi di dettaglio.

Mi preme viceversa riflettere sugli aspetti psicologici di questi comportamenti, oramai tristemente assurti a “normalità”. In passato, ad esempio, la reazione dei genitori a un brutto voto o a una nota disciplinare del figlio, era una reprimenda al figlio stesso. Oggi viceversa si corre a rimproverare il professore: “come ti sei permesso di mortificare/svalutare il mio piccolo tesoro/genio!!”, sembra essere il messaggio implicito nella loro mente, tradotto poi in gesti più o meno violenti. Come se a sentirsi ripresi fossero loro, come se implicitamente li si stesse accusando di essere genitori incapaci. Dimenticando un concetto fondamentale in qualsiasi progetto educativo, sia esso interno alla famiglia o tra famiglia e istituzioni: l’ALLEANZA. Quello che appare in modo macroscopico è una pervasiva mancanza di FIDUCIA tra famiglie e scuola e – aggiungo – tra genitori e figli. Anziché essere alleati, si compete per avere ragione, per essere in testa e conquistare un simulacro di “rispetto” che però si traduce troppo spesso in prepotenza e arroganza. Non c’è dialogo, men che meno la capacità di indossare per un istante i panni dell’altro, genitori-figli-professori, tutti, immaginandosi attori di una stessa scenografia e non nemici sul campo di battaglia.

Ma più in generale vi è un tema di LIMITI, di confini, a cui i figli della società liquida non sono più abituati. L’assenza di limiti, di regole chiare, di “no” quando serve, non è indice di libertà ma è l’antitesi stessa della libertà, perché impedisce di avere un punto di riferimento in base al quale misurarsi, valutare se stiamo facendo bene o male. Nel tentativo di “proteggere” i figli da qualsivoglia frustrazione, molti genitori colludono, assecondando ogni loro richiesta e avallando acriticamente ogni loro comportamento. Questo tipo di atteggiamento rivela da un lato una profonda mancanza di fiducia da parte dell’adulto nelle capacità del ragazzo di gestire in autonomia una situazione complessa e nelle competenze educative dei docenti; dall’altro rivela una pervasiva incapacità a gestire i conflitti attraverso un dialogo argomentato più che venendo alle mani o alle testate. Sembra di assistere a una sorta di “adultescenza”, un’adolescenza di ritorno che vede gli adulti assumere comportamenti adolescenziali, caratterizzati da scarsa capacità di regolazione degli impulsi e di ascolto, unita a senso di onnipotenza e incapacità di valutare l’effetto delle proprie azioni.

In sintesi, due sono gli elementi su cui dovremmo concentrarci se vogliamo tentare di porre rimedio – ognuno nel proprio contesto – a questa deriva sociale:

  1. ripristinare LIMITI e CONFINI, permeabili come ogni buon confine, ma chiari e sostenibili: una volta che affidiamo i nostri ragazzi alle istituzioni educative, dovremmo, salvo casi macroscopici, fare un passo indietro e lasciar gestire a loro (figli e professori) la situazione;
  2. coltivare la FIDUCIA, internamente alla famiglia e tra famiglia e scuola, per promuovere la AUTONOMIA e sviluppare nei ragazzi un autentico sentimento di autoefficacia e autostima. Tutto il resto è una conseguenza di questi due ingredienti fondamentali nei contesti sociali e nelle relazioni.
La costruzione di fiducia è un percorso che richiede tempo e costanza, un po’ come l’impasto per la pizza: affinché lieviti a regola d’arte, non c’è verso di accelerare il risultato, altrimenti i problemi si presenteranno dopo, decisamente aumentati, e rischiamo poi di vomitare tutto.

Source
Radio: Radio Cusano Campus | Dal programma 'Ferrero non solo sport' del 7 Novembre 2023



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